Uno dei settori più colpiti dalla Pandemia è sicuramente quello dell’arte. A dire cosa ne pensa è uno degli esponenti di spicco del “nostro” teatro (portato in giro nel mondo, con consensi internazionali, premi e riconoscimenti), il mai-banale Cristian Izzo, che ricorrendo alla sua dialettica ha espresso delle opinioni su questo periodo buio per “l’ecosistema” teatro.
Pensa che tutto ciò influenzerà il movimento artistico italiano alla pari delle grandi epidemie del passato?
"Non so se effettivamente oggi in Italia si possa parlare di “Movimento Artistico Italiano”. I termini si sono molto confusi: vi è un comparto dello spettacolo, che occupa molto spazio sia in teatro, che in tv, che al cinema, che nel campo dell’informazione, essendo oramai divenuta anche la stessa informazione non più un servizio civico o sociale, se si fa eccezione di un certo uso politico della stampa che sopravvive e che comunque non le fa onore, ma un’attività di mero intrattenimento; da questo comparto è lecito aspettarsi che l’argomento sia 'spremuto' nella maniera più brutale e per il tempo più lungo possibile.
Sicuramente avremo la fiction di Rai 1 con Beppe Fiorello nei panni dell’infermiere in corsia d’emergenza, che perde la vita nell’esercizio del suo lavoro. Sicuramente arriveranno canzoni, libri, opere teatrali, film dal mercato facile e dagli incassi garantiti: ma in ultimo nulla di tutto ciò avrà una qualche profondità, è solamente il classico interagire di domanda e offerta. Noi non possiamo guardare l’epoca in cui viviamo: ci è dato vivere il presente, anche se distrattamente: ma raccontare o immaginare possiamo farlo solamente col passato e col futuro. Il resto è reality".
Riguardo l'annosa questione dei cinema e dei teatri, può esprimere un suo giudizio al riguardo la loro Ri-apertura?
"La ringrazio per averla considerata “annosa”: la ringrazio due volte se davvero lei la avverte come tale. La verità, però, è che non lo è.
L’Italia come comunità e la sua classe politica lo hanno dimostrato in qualsiasi modo durante tutto questo periodo: l’Italia è un paese pigramente laico, nella peggiore accezione del significato della parola “laico”. Il laicismo è un atteggiamento borghese, l’uomo sensibile è un uomo religioso – e per religioso si intende l’uomo che riconosce la realtà attraverso i simboli, che identifica la vita come una serie di rituali che si ripetono, che difende quei rituali come la sua stessa carne (perché essi sono la sua stessa carne). Ma in un paese in cui i sacerdoti si disinfettano le mani prima di toccare quello che dicono essere il “Corpo di Cristo”, quale sentimento profondamente sensibile è possibile?
Si badi bene: a me fa piacere l’esempio citato, perché evita focolai importanti, dato che le chiese hanno continuato ad accogliere il loro pubblico – però bisogna ammettere che questa disciplina non sarebbe possibile senza intendere la parola dello Stato come superiore al Verbo di Dio. In questo anche i sacerdoti dimostrano di essere dei cittadini laici – ed anche il Papa. Come vede, le azioni e i gesti sono stati spogliati di qualsiasi significato che non sia pragmatico ed immediato: e così anche le parole. Entrambi sono vissuti con troppa velocità e superficialità: il teatro stesso, in questo contesto, non è che una attività come un’altra, un hobby, un passamento – il teatro oppure la pizza, lo yoga, Netflix, l’assessorato comunale, il Ministero della Cultura: un passatempo vale l’altro. In un simile Mondo il Teatro non può esistere: è già un estinto e ci parla solamente del Tramonto dell’Uomo. L’ultimo gesto del Ministero, infine, conferma la necessità che ci sia una “Cultura” per giustificare l’esistenza del Ministero: Franceschini ha fatto una cosa che non giova a nessuno, ma che ha giustificato la sua carica. La pandemia di un virus che attaccasse tutti attraverso i router, sancirebbe una rinascita del teatro: ma in quel caso la gente preferirebbe morire, piuttosto che perdere la possibilità di condividere le immagini del proprio pranzo".
Ha pensato di elaborare un testo teatrale relativo a questo periodo che sicuramente influenzerà la storia che si andrà a scrivere?
"All’inizio di questa dolorosa faccenda (era il 6 marzo 2020), scrissi “Morbogonia”, un poema ispirato alla “Teogonia” di Esiodo; pensai di scrivere il Primo poema Teologico della Comunità dei Virus, il loro Mondo metafisico, la loro fede religiosa. Questo perché in principio (ma non è andata meglio nel tempo) si parlava del virus esattamente come di un Essere Umano: mi parve giusto allora che avessero anche loro un testo di riferimento su cui fondare la loro Cultura.
Scrissi poi un racconto dal titolo “La Paralisi”, in cui fatalmente e con grande dispiacere, prefigurai ciò che poi è accaduto: un uomo si sveglia una mattina dopo aver sognato di essere paralitico e non riuscendo con chiarezza a scindere la realtà dal sogno, non osa muoversi per la paura di scoprire che ciò che ha vissuto è realtà. Si lascia così morire di inedia e atrofia per paura di muoversi e scoprire la sua condizione di sano o di paralitico.
Dopo di questo non ho più scritto a riguardo: l’argomento mi è parso banale, noioso e abusato.
Che faccia parte della Storia è probabile, essendo la Storia una incredibile Opera senza alcuna vera rilevanza che non sia la celebrazione dell’Uomo. Probabilmente leggendo qualche mio verso di questi mesi, negli anni futuri, noterò qualcosa che permea attraverso la mia scrittura, che si è rappreso lì dalla realtà che stiamo vivendo: ma ora è troppo presto e mi auguro, comunque, che ciò sia accaduto il meno possibile".
Per ricevere le notizie direttamente su WhatsApp, memorizza il numero 327 982 50 60 e invia il messaggio "START" per procedere